Addio a Intini, "uomo nell'ombra" che accanto a Craxi progettò la nuova Genova
di Stefano Rissetto
Direttore del "Lavoro" dopo Pertini, capo ligure del Garofano sopravvissuto al caso Teardo, "regista" delle trasformazioni legate alle Colombiane
E' morto Ugo Intini, all'età di 82 anni, ieri sera a Milano, dopo una lunga malattia. Era ricoverato in rianimazione all'ospedale San Raffaele. Lascia la moglie Carla e il figlio Carlo. È stato direttore del giornale socialista Avanti!, de "Il Lavoro" di Genova e deputato per quattro legislature. Intini ha ricoperto incarichi di governo nel secondo Governo Amato e nel secondo Governo Prodi, nel ruolo di sottosegretario agli Esteri. E stato responsabile dell'informazione, portavoce del Psi, rappresentante del partito all'Internazionale Socialista, a fianco di Bettino Craxi. Negli anni difficili del dopo tangentopoli, non aveva mai lasciato il Psi. I funerali si terranno giovedì 15 a Roma alle 11.30, presso la Parrocchia di Santa Chiara in piazza dei Giuochi Delfici.
Passavamo sulla terra leggeri, è il titolo di un libro che si adatta a ogni ultimo saluto e quindi anche al congedo da Ugo Intini, scomparso a 82 anni, giornalista e politico, figura emblematica del socialismo riformista tra gli anni Settanta e i primi Novanta, tra il Midas e il Raphael, sotto le stelle di Craxi.
Intini, già a Genova nel pieno degli "anni di piombo" come direttore del "Lavoro" ancora autonomo e sede in salita Dinegro, era stato mandato in Liguria dal segretario in persona per ricostruire il partito dalle macerie del caso Teardo. Da giornalista aveva cominciato all'"Avanti!", trovando maestri come Pietro Nenni e il direttore Riccardo Lombardi, che gli insegnavano a fare i titoli, sessant'anni fa quando Intini era un giovane praticante. Al "Lavoro" invece si era trovato a raccogliere l'eredità di Pertini, che una volta al Quirinale lo avrebbe apostrofato: "No basta, qui no! Mi hai seguito dappertutto. Io sono stato capolista in Liguria e tu anche. Direttore de Il Lavoro e tu anche. Direttore dell’Avanti! e tu anche. Adesso basta, qui non mi segui più!". Guidando il glorioso foglio di partito, Intini costruì un ottimo rapporto con Giuliano Zincone e la sua nidiata: Francesco Cevasco, da poco scomparso, Gad Lerner, Lucia Annunziata, Luigi Irdi, Daniele Protti. Non fece in tempo a rafforzare il legame con Walter Tobagi, il destino - o meglio un manipolo di sciagurati che giocavano allo specchio delle mie brame, chi è il più terrorista del reame - volle diversamente.
Genova era la città dove il PSI era nato, nella Sala Sivori a pochi metri dalla sede del Lavoro. A Genova aveva lungamente insegnato Giuliano Vassalli, giurista e partigiano, una delle figure più care a Intini nella sua formazione di uomo di partito, candidato di bandiera socialista alle presidenziali del 1992, le ultime del PSI storico.
E poi Craxi, l'uomo che ha segnato la sua vita (nella foto, da sinistra: Ugo Intini, Tonino Bettanini, Bettino Craxi e Delio Meoli). Si erano incontrati per la prima volta a Milano nel 1961: Ugo 20 anni, cronista in prova all’Avanti!, Bettino, 27 anni, assessore supplente all’economato. I comunisti stavano manifestando sotto Palazzo Marino, dove si teneva una riunione della giunta comunale, per protestare contro la mancanza di case. Craxi disse ai vigili di aprire i cancelli, poi si voltò verso Intini: "Be’ non vieni? Hai paura?". Da quel momento Intini lo avrebbe seguito per più di trent'anni, silenziosa ombra, a differenza d'altri sempre alieno al triplice canto del gallo. Una lunga fedeltà che gli sarebbe costata il dileggio dei media anticraxiani, schierati in armi a osteggiare il segretario che trent'anni dopo Saragat aveva riproposto la necessità di superare il frontismo, a fronte di una - presunta o evidente, secondo le prospettive - incapacità del PCI di emendarsi da Mosca.
Ma Intini è stato molto di più e molto d'altro dall'ombra di Bettino. A Genova ha scritto, senza voler troppo prendersi meriti, pagine importanti. Negli anni Ottanta il Garofano dava le carte e fu proprio grazie all'asse Craxi-Intini che Genova ebbe le Colombiane 1992, con il presidente del Consiglio a usare l'amicizia con l'omologo spagnolo Felipe Gonzales per rimuovere il veto iberico a favore di Siviglia. Anche lo sviluppo di porto e aeroporto, così come le opere per il Mondiale di calcio del 1990, ebbero analoga matrice. In quegli anni lui, milanese, fu uno dei genovesi più importanti. Contribuì anche alla vita del Club Turati.
Fu molto attivo in politica estera, per il ruolo apicale svolto nell'Internazionale socialista, con importanti e solidi legami con i leader europei e latinoamericani. Trattò francamente con Willy Brandt, Shimon Peres, Yasser Arafat, Jiri Pelikan, Wojcieck Jaruzelski, Andrei Sacharov, Nicolae Ceausescu, Kim Il-sung, Enver Hoxha e Ramiz Alia. Redasse l'inventario del mondo, la planimetria del potere. Restando sempre ai margini della fotografia. In pochi sanno che tra i suoi grandi amici di una vita c'era Pupi Avati, con il quale negli ultimi anni pensava di por mano a un progetto cinematografico sul Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. E ancora meno sanno con quali carte si sia giocato la partita più difficile, frequentare il potere ed esercitarlo senza contaminarsi con le sue degenerazioni. Con lui scolorisce ancor più quel campo che fu verde, di garofani rossi, il sol dell'avvenire. Non lo ha visto tramontare del tutto ed è una minima consolazione, per chi lo ricorda e forse anche per lui, "uomo nell'ombra".
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