Carige, verso l'assemblea dei soci: le scelte di Malacalza e il futuro dell'istituto
di Marco Innocenti
La famiglia genovese però non ha ancora sciolto la propria riserva sul piano di salvataggio presentato dai commissari
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Il 20 settembre si avvicina. La data scelta per l’assemblea straordinaria dei soci di Banca Carige è ormai alle porte e, sul piatto, gli azionisti troveranno il piano di salvataggio proposto dai commissari, con i 700 milioni di aumento di capitale ripartiti fra Fondo Interbancario, Cassa Centrale e azionisti. Al momento però il primo obiettivo è la caccia ai piccoli soci, per superare lo scoglio della soglia del 20% della rappresentanza affinché l’assemblea sia valida. Su questo punto lo stesso istituto ha già sollecitato i piccoli soci alla presenza o quantomeno alla delega per raggiungere il numero legale.
Si starebbe poi lavorando sotto traccia per far sì che, con o senza la presenza dei Malacalza, si possa arrivare al fatidico 20%: in caso di assenza del principale azionista, determinante diventerebbe la presenza della triade Volpi-Mincione-Spinelli. I tre imprenditori, insieme, detengono una quota di circa il 17%e non hanno mai nascosto il loro ok al piano presentato dai Commissari. A favore dell’aumento di capitale, poi, si è già espresso anche il gruppo dei piccoli azionisti, capitanato da Silvio De Fecondo.
Una volta superato il primo ostacolo del quorum legale, però, il grosso punto interrogativo sulla via dell’accettazione del piano di salvataggio è rappresentato sempre dalla posizione della famiglia Malacalza, che non ha ancora sciolto la riserva sulla propria adesione o meno all’aumento di capitale, adesione che comporterebbe un investimento di oltre 23 milioni di euro.
Come principali azionisti, la mancata accettazione del piano potrebbe portare ad un deja-vu di quanto accaduto lo scorso dicembre, quando il no al piano di rafforzamento della banca aprì le porte al commissariamento. Per approvare il nuovo piano predisposto proprio dai commissari, il 20 settembre servirà infatti l’ok dei due terzi del capitale rappresentato in assemblea. Per questo, un’eventuale presenza dei Malacalza all’assemblea con voto contrario o anche astensione, complicherebbe tremendamente la vicenda, rendendo di fatto quasi impossibile arrivare all’approvazione del piano.
E a quel punto potrebbe davvero aprirsi il baratro della liquidazione. L’alternativa potrebbe essere la convocazione di una seconda assemblea, a brevissimo giro di posta, con l’ipotetico congelamento del diritto di voto della famiglia genovese ma con la probabile conseguenza di aprire la strada ad una lunga e difficile controversia legale.
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