Sampdoria, un girone a disposizione per tentare un'impresa difficile ma non impossibile
di Stefano Rissetto
Chiusa l'andata con qualche battuta d'arresto di troppo e molte attenuanti sul cammino di Pirlo e dei suoi ragazzi
All'inizio del 2023, cominciato nell'amarezza con la scomparsa di Gianluca Vialli, pochi si aspettavano di vedere la Sampdoria dove si trova oggi: col suo nome di sempre, a centroclassifica, in serie B. Il primo dettaglio fa premio sugli altri due, perché fino al 30 maggio non era scontato che la società finisse meglio di altre aziende del eR adiM del Testaccio, un demiurgo alla rovescia capace di trasformare l'oro in latta. Malgrado la "cura" quasi decennale, l'Unione Calcio Samp-Doria 1946 (si scriveva così, agli albori) c'è ancora. Fa fatica e ci mancherebbe non la facesse, perché negli ultimi due anni ha dovuto vendere, se non svendere, i migliori calciatori, nel rispetto delle regole di ammissione ai ranghi federali professionistici.
Detto questo, la sussistenza in vita è una precondizione e quindi non può essere un obiettivo. Per chi ricorda, il punto di partenza della nuova gestione non è dissimile dalle situazioni degli anni 1979 e 2002. In entrambi i casi due proprietari facoltosi, Paolo Mantovani e Riccardo Garrone, erano entrati in società da padroni e con robusti investimenti funzionali al rilancio agonistico rapidamente ottenuto. Stavolta la proprietà ha una configurazione proteiforme, in cerca di una vera stabilità strutturale: l'estate scorsa, da Bogliasco a Livigno, il segno del comando sembrava investire Andrea Radrizzani, in uscita dal Leeds Utd. e poi defilatosi a vantaggio di quello che allora sembrava il suo braccio destro, il finanziere Matteo Manfredi, negli ultimi tempi impegnato da una parte a cercare soci sovventori in Asia Minore e oltre e dall'altra a negoziare, con tutte le complicanze del caso, una definitiva uscita del Viperetta dalla compagine azionaria.
Come gioca centrocampo gioca squadra, diceva Boskov. Come funziona società funziona campo, sancisce la storia. Non si è mai data una società forte che esprimesse una squadra debole e viceversa. Questo spiega in parte il girone di andata chiuso in modo quasi gotico, con un punto appena, preso allo scadere, nel doppio impegno interno con FeralpiSalò e Bari. Tra le pagine chiare e le pagine scure, si era visto l'illusorio successo inaugurale di Terni, seguito da una baraonda di sconfitte interne chiusa soltanto a fine ottobre, con il primo successo interno sul Cosenza. Sembrava il primo passo verso una Sampdoria simile ai desideri dei suoi tifosi, oltre 18mila abbonati e 23mila presenti abituali per numeri impensabili in B, con cinque vittorie su sei gare. E' invece arrivato l'inciampo natalizio a ricalibrare la cronaca.
Non si possono nutrire eccessive aspettative, a meno di colpi di inventiva del duo Legrottaglie-Mancini, su un mercato che andrà condotto a saldo zero. Piuttosto urgono i rientri di giocatori rivelatisi fondamentali, da Borini a Pedrola a Vieira, tutti infortunati di lungo corso, per non parlare di Ferrari fuori causa fino a primavera. Va infatti riconosciuto che la squadra di inizio stagione - così come il tecnico Andrea Pirlo, capace di adattarsi alla svelta al Vietnam della B, abbandonato da calciatore nel 1997 e fino alla scorsa estate mai più praticato - era più che in linea con le ambizioni dell'ambiente, non fosse stata bersagliata da una demoniaca sequenza di malanni. Perciò si può chiudere questa prima parte della stagione con una sufficienza piena alla squadra e qualcosa di più all'azionista di riferimento, per aver evitato - anche grazie all'attività dell'ex CdA e dell'esperto Bissocoli - l'azzeramento e la partenza dal basso. Destino che sarebbe stato una ferita sì assai grave ma tutto sommato non esiziale, come appurereste se andaste mai a Napoli a sostenere che lo scudetto di maggio non è il terzo della storia ma "soltanto" il primo di una nuova società, nata nel 2005 senza alcun legame con quella di Ferlaino e Maradona.
A conti fatti, è dalla B che l'Unione Calcio Sampdoria 1946 è ripartita ed è in A che, secondo storia e tradizione, dovrebbe tornare quanto prima. Sostenere, in chiave autoconsolatoria o giustificazionista, che almeno per un anno sarebbe meglio restare ancora in B è innanzitutto un'abdicazione emotiva. Quindi è un nonsenso logico: in A, per esempio, si avrebbe sì il mercato ancora bloccato, ma arriverebbero i diritti tv, si potrebbero negoziare calciatori in prestito di livello più qualificato rispetto a quelli che si potrebbero chiedere per farli giocare in B. E forse eventuali investitori sarebbero attratti da una realtà di maggiore risonanza.
Questo lo stato delle cose. La squadra è questa e date le contingenze di mercato non potrà cambiare di molto, idem salvo sorprese la compagine azionaria. In queste condizioni si deve navigare, nella consapevolezza che, per quanto il margine di errore si sia ridotto, la Sampdoria è equidistante dalle due zone di classifica che impongono supplementi alla stagione ordinaria. Tutto può insomma ancora accadere; e in sede e al Mugnaini, nel loro interesse ancor prima che in quello dei tifosi, lavorano per il meglio. La serie B ha ragioni che la ragione non conosce. Alla ripresa, a metà gennaio, il Doria ripartirà dallo stadio più brutto del mondo in fondo alla città più bella del mondo, in casa di quel Venezia che all'andata in rimonta aveva inflitto ai blucerchiati il secondo stop interno consecutivo. Al Penzo, due anni fa, la Sampdoria di Giampaolo aveva vinto a sorpresa, avviando la rincorsa salvezza. Sarà la prima di 19 partite che potrebbero fruttarne altre da giocare. Per riportare la Sampdoria a casa.
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