Genova, detenuto aggredisce agente con una lametta in carcere a Marassi
di Alessandro Bacci
L'uomo voleva cambiare cella e ha inveito contro il personale di servizio. Il sindacato Sappe preoccupato per l'escalation di casi
Altro grave evento critico nel carcere di Marassi. Un detenuto marocchino solo perché voleva cambiare di cella, procedura consentita solo per motivi particolari, al rifiuto ha inveito nei confronti del personale di servizio. Il responsabile della sezione detentiva ha dunque cercato di spiegare al detenuto quali fossero le procedure previste ed in casi in cui si può cambiare cella, ma la reazione è stata alquanto surreale in quanto il detenuto, armato di una lametta, ha cercato di aggredirlo per fortuna sena conseguenze, solo dei lievi danni fisici guaribili in due giorni.
A darne notizia è il segretario regionale del SAPPe, Michele Lorenzo il quale definisce questo episodio frutto di una gestione assente dell’istituto e per il quale si chiede un’inchiesta amministrativa. E’ impensabile quanto impossibile – denuncia il SAPPe della Liguria – che un istituto come quello di Marassi con 650 detenuti presenti (capienza 520) e dopo una pericolosa protesta dei giorni scorsi, dopo una pericolosa rissa tra detenuti di bande rivali, dopo che un detenuto con problemi psichiatrici ha dato fuoco alla cella e dopo l’aggressione odierna, Marassi sia ancora senza un legittimo comandante di reparto responsabile della sicurezza e senza un direttore titolare. Ed è veramente impensabile che gli uffici romani e lo stesso Ministro della Giustizia Marta Cartabia, non si attivino per riportare Marassi nei parametri della gestibilità.
Il SAPPe riporta solo alcuni dati che hanno coinvolto l’attività della Polizia Penitenziaria di Genova Marassi nell’anno 2020: 226 colluttazioni tra detenuti, 43 ferimenti, 2 decessi, 186 gesti di autolesionismo non possono condurre all’indifferenza dell’amministrazione penitenziaria e del Ministro della Giustizia, afferma il segretario regionale Lorenzo. Questo deve essere, invece, indice d’interessamento di tutte le componenti politiche del territorio, perché la sicurezza e l’incolumità di chi lavora all’interno delle carceri deve essere d’interesse comune e non elemento d’indifferenza collettiva.
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