Lumache, le varianti liguri della ricetta
di Paolo Lingua
Piatti elaborati per una ghiottoneria cheora è possibile andare a "cogliere"
Pubblichiamo un articolo sulle lumache in Liguria inizialmente apparso sulla rivista dell'Accademia Italiana della Cucina.
In un passaggio del “Bellum Iugurtinum”(siamo nel 106 – 104 a.C.), lo storico Sallustio racconta che il generale Caio Mario, che poi avrebbe sconfitto e imprigionato il crudele e bieco re dei Numidi Giugurta, espugnò una roccaforte in Numidia (grosso modo l’odierna Algeria) , grazie alla “golosità” di un suo soldato di origine ligure che, seguendo una tribù di chiocciole, imperforato nelle operazioni della cattura, trovò un passaggio impervio e sguarnito alle spalle della fortezza, attraverso il quale le legioni di Mario piombarono alle spalle degli assediati prendendo la guarnigione di sorpresa.
E’ certamente il primo documento scritto che testimonia una diffusa abitudine alimentare dei Liguri sin dai tempi più remoti. Com’è noto, lumache e chiocciole godono di grande successo nella vicina Francia dove sono cucinate con celebri e prestigiose ricette. Ma ancor oggi, il alcune parti della regione (in particolare nelle aree di Savona e di Imperia, più accentuatamente nell’entroterra degli Appennini e delle Prealpi), questi simpatici animaletti sono confezionati con grande cura e godono di un alto prestigio non solo sulle tavole familiari, ma anche su mense di prestigio e nei ristoranti più noti.
Abbiamo parlato dell’entroterra, perché dobbiamo far riferimento, come origine storica di questo singolare, e oggi forse un po’ desueto, costume alimentare, ai “Ligures” come popolazione preromana di componente mediterranea e poi celtica. Erano abitanti dell’entroterra e della montagna ed erano consumatori di castagne, fichi, legumi, cerali “minori” come orzo, segale e poco frumento. Nel corso dei secoli si aggiunsero anche le presenze, in modesta proporzione, di ovini (capre in particolare, la cui tradizione resiste nell’entroterra imperiese con alcune pietanze molto particolari).
Ma, tornando alle nostre chiocciole e lumache, le varianti di cottura e di confezione hanno passaggi fissi e diversificazioni in particolare a seconda della zona. Le località più celebri sono le aree del Nervia e del Roja o Triora (a Imperia) oppure Borgio Verezzi e l’entroterra immediato di Savona. Vale la pena di ricordare che in dialetto a seconda delle zone sono definite “ciui” o “gianchele”. In ogni caso, prima di cucinarle occorre la “purificazione” che, a seconda della dimensione degli anomali può essere differente. O con acqua calda salata, o con acqua fredda sempre salata. Ma anche con acqua e aceto. Un’altra regola fissa è il taglio della punta estrema della coda che in genere produce sabbietta. Una tecnica, tipica dei “ciui” imperiesi è, dopo la “purificazione”, levare con l’apposita forcella gli animaletti, infarinarli e friggerli. Sino all’inizio del XIX secolo, le nostre lumache e chiocciole erano cucinate in bianco. Poi, nel corso dell’ottocento, sono apparsi il pomodoro e le patate, come del resto in tutta la cucina della Liguria.
Le chiocciole, se ci divertiamo a studiare le ricette più antiche come quella di Molini di Triora o la classica “savonese”, vengono predisposto in un umido “bianco” con olio, aglio, cipolle, erbe aromatiche lardo (una trancia intera o cotenna), brodo di carne e vino rosso, preferibilmente l’Ormeasco. Certamente un piatto robusto. Nella variabile di Verezzi troviamo invece le acciughe salate, le noci (o i pinoli) e il vino bianco secco. Nella variante “al verde” vengono pasate in acqua e aceto e rosolate nell’olio con un mazzetto di erbe (prezzemolo, timo, salvia, sedano cipolloa e menta), con il solito spruzzo di vino bianco alla fine. Le variabili sono dunque infinite, sia pure con poche differenze.
Ma vale la pena, tanto per rifarci a Caio Mario, generale romano, al piatto sontuoso che anni fa aveva lanciato un ristorante di Borgio Verezzi, gestito dall’attendente del Maresciallo d’Italia, Caviglia, nativo di Finale Ligure e passato alla storia come il vero artefice della vittoria definitiva della I Guerra Mondiale a Vittorio Veneto. Caviglia era un uomo molto severo nel suo ruolo, ma era un uomo di mondo e un raffinato gourmet.
Seguiamo la proceduta: Si comincia, ovviamente, dalla lavatura e spurgatura dei mostri aminaletti. L’ultima lavatura avviene unendo all’acqua delle foglie di fico. Poi le lumache vengono lasciate in un ambio tegame (meglio se di coccio) e coperte di sale. Poi, data ancora l’ultima schiuma, vengono gettate nell’acqua bollente con l’aggiunta di un bicchiere di aceto bianco. Poi in un altro tegame viene preparato un soffritto: olio extravergine d’oliva, cipolla tritata e un bel pezzo di lardo pestato battuto al coltello. Poi nel soffritto, quando la cipolla è bionda, vanno aggiunti prezzemolo, sedano, maggiorana e pomodori spellati privati dei semi.
Quando i pomodori si sono amalgamanti aggiungere le lumache sempre con il loro guscio. Poi aggiungere vino bianco secco, alzare la fiamma e fare evaporare. Poi abbassare la fiamma e cuocre per altri dieci minuti. Nel frattempo preparare un “pesto”: noci, pinoli, capperi e un pugno di formaggio pecorino fresco grattugiato. Quindi il pesto va emulsionato con un po’ di brodo (meglio vegetale) e infine versato sulle lumache ancora sul fuoco. Dopo cinque minuti servire bollente in tavola.
Piatto complicato ed elaborato, degno d’un protagonista della storia.
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