Industria e decarbonizzazione, cinque settori italiani raccolgono la sfida
di Simone Galdi
Uno studio Edison Next-BCG fotografa i rischi e le opportunità per acciaio, chimica, cemento, carta e ceramica verso il 2030

L’industria italiana ad alta intensità energetica è a un punto di svolta. Senza interventi mirati, rischia di perdere terreno rispetto ai concorrenti internazionali, in un contesto dove la riduzione delle emissioni e il contenimento dei costi sono ormai imprescindibili.
Costi energetici – Lo studio “Industria e decarbonizzazione: quale competitività tra scenari futuri ed evoluzione tecnologica”, curato da Edison Next e Boston Consulting Group, analizza cinque comparti chiave — acciaio, chimica, cemento, carta e ceramica — e mostra un quadro complesso. Entro il 2030, nonostante un previsto avvicinamento ai livelli europei, l’Italia continuerà a subire un costo dell’elettricità superiore del 10% alla media UE e fino al 30% rispetto agli Stati Uniti. Ancora più marcato il divario sul gas naturale: +120% rispetto agli USA. A ciò si somma un atteso rincaro dell’80-85% sul prezzo della CO₂, che rischia di appesantire ulteriormente i bilanci delle imprese energivore.
Strategie tecnologiche – Per ridurre del 30% le emissioni entro il 2030 nei settori cosiddetti “hard to abate”, lo studio individua sette leve: efficienza energetica, biometano, elettrificazione dei processi, economia circolare, cattura e stoccaggio della CO₂ (CCUS), idrogeno e nucleare. Le prime cinque possono essere applicate nel breve periodo. Le tecnologie legate a idrogeno e nucleare richiedono invece orizzonti temporali più lunghi, al 2040.
Settori specifici – L’acciaio italiano, seppur efficiente nel contesto europeo, sconta un gap del 35% rispetto ai Paesi extra-UE. L’introduzione del CBAM (Carbon Border Adjustment Mechanism) potrebbe ridurre il divario al 15%, ma il costo dei rottami metallici — che incide per il 70% — rimane un freno significativo. Nel settore chimico, il confronto con la Cina è penalizzante: energia più economica del 45% e assenza di tassazione sulla CO₂ potrebbero tradursi in una perdita di competitività oltre il 20% entro il 2030. Il cemento subisce invece fortemente il costo della CO₂, che pesa per il 75% del divario competitivo con i Paesi extra-UE. In questo caso, la CCUS e il meccanismo CBAM appaiono determinanti per riequilibrare le condizioni.
Fonti alternative – La carta dipende fortemente dal gas, che rappresenta circa il 20% dei costi produttivi, contro il 10% degli Stati Uniti. Il ricorso al biometano è indicato come via prioritaria per contenere l’impatto energetico. Per la ceramica, il nodo centrale resta il gas: oltre il 60% del divario competitivo è attribuito al suo costo. L’elettrificazione e l’impiego di biometano sono considerate le soluzioni più efficaci.
Progetti in corso – Edison Next è già attiva con iniziative concrete. Il contratto ventennale con Acciaierie Venete prevede un impianto fotovoltaico da 6,7 MWp, mentre nello stabilimento Michelin di Cuneo è stato introdotto un sistema che consente di ridurre le emissioni di 18.000 tonnellate annue di CO₂. Un ulteriore esempio è il progetto H2 Factory®, sviluppato insieme a Iris Ceramica Group: il primo impianto al mondo per la produzione di lastre ceramiche alimentato a idrogeno verde, con 132 tonnellate l’anno prodotte da energia rinnovabile e acqua piovana.
Prospettive – Secondo lo studio, per rafforzare la competitività serve un contesto normativo più favorevole. Le priorità includono una semplificazione delle autorizzazioni, incentivi stabili agli investimenti e un contenimento strutturale dei prezzi energetici, ad esempio attraverso il potenziamento del meccanismo Energy Release.
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