Marco Sciaccaluga, "minatore ostinato", sotto la lente di Roberto Iovino
di Giulia Cassini
Il nuovo libro-intervista di De Ferrari editore su mezzo secolo di vita teatrale genovese
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Che il regista e interprete Marco Sciaccaluga e il giornalista e musicologo Roberto Iovino viaggino entrambi "in direzione ostinata e contraria" e che si conoscano da sempre è ben noto: hanno iniziato le scuole insieme il 1° ottobre 1959 all'Istituto Gian Lorenzo Bernini di Genova e poi gli anni del liceo con gli interessi professionali già abbozzati e la maturità al Liceo Doria.
Nemmeno un libro insieme è una novità. Basti pensare a quello del 2013 scritto a quattro mani sulle rispettive passioni a confronto: Verdi e Shakespeare. Eppure c'è tanto di non detto e di sorprendentemente unico nel nuovo libro-intervista (psicanalitica verrebbe da aggiungere viste le domande sagaci che svelano l'uomo oltre che il grande professionista di teatro) di Roberto Iovino. Quasi 200 pagine ben strutturate con materale fotografico, un'ampia gamma di testimonianze e una poderosa teatrografia per il volume edito da De Ferrari e intitolato "Marco Sciaccaluga e il Teatro. Vita di un minatore ostinato".
Già da qui se ne percepisce la sottogliezza: viene ripresa la filosofia di Umberto Eco, di cui si riporta uno spartiacque preciso: "Il mondo degli artisti si divide in "minatori ostinati" e "adepti del velame". Ho una istintiva simpatia per i primi..." Una consapevolezza, quella di muoversi nel testo, rispettandolo, contrapposta a chi crede che l'aderenza allo scritto debba rimanere confinata in ambito accademico. "Per tirare le fila fuori dalla filosofia si potrebbe semplificare - spiega Sciaccaluga- dicendo che il sovrainterprete rischia in nome di se stesso di disgregare ogni cosa, mentre l'interprete pecca se non arriva al limite possibile. Del resto è nei lavori in cui mi sono spinto al confine che ho raccolto le più grandi soddisfazioni". Questa bipartizione è forse innata in Sciaccaluga.
"Io non sono figlio d'arte- ha detto alla presentazione del libro alla Corte nella serata del 3 dicembre- semmai figlio di abbonati. Le discussioni su quanto libero potesse essere lo sguardo di un interprete in platea mi hanno sempre preso". Del resto più di una volta nelle acute interviste tenute da Roberto Iovino Sciaccaluga ha ammesso che il teatro è straordinario. Non solo perché accende il ragionamento, che sarebbe la deduzione più ovvia e il banale non gli appartiene, ma "Perchè è fuori dall'ordinario. L'alterità rispetto alla realtà è un dato di fatto. Non vuole dire che sia tutto bello, meraviglioso".
Critiche ce ne sono nel libro, sia verso se stesso sia verso certo teatro o determinate politiche gestionali. Per lo sguardo disincantato e la profondità potrebbe essere anche un ottimo testo di studio perché si passa dai grandi classici ai contemporanei, dall'amore per Shakespeare e per Cechov, alla scuola, ai grandi attori con cui ha lavorato e quasi mezzo secolo di vita teatrale genovese.
Cade anche un luogo comune, quello che Sciaccaluga sia un regista di testi classici. "E' chiaro che poi all'interno dei testi contemporanei ci sono autori che nel frattempo sono diventati classici e come tali vanno annoverati: Brecht, Pinter, Beckett, lo stesso Dürrenmatt -ammette Sciaccaluga - ma ho fatto più o meno per metà titoli classici e per metà contemporanei. Alll'inizio sono partito proprio con tre lavori contemporanei uno dopo l'altro: Perdono reale di Arden, Equus di Shaffer e Il complice di Dürrenmatt".
Ecco, per usare una metafora tennistica, sport molto amato dal regista, la sequenza dei dritti e dei rovesci è destinata a bilanciarsi. La determinazione è tanta (anche di continuare a fare ace), e ricorda il tatuaggio di Stanislas Wawrinka. "Ever tried. Ever failed. No matter. try again. Fail again. Fail better" (Hai sempre provato. Hai sempre fallito. Non importa. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio). Un mantra, non solo dentro e fuori un palco.
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