A processo il poliziotto che uccise Jefferson Tomalà durante un tso
di Fabio Canessa
2 min
Il 22enne accoltellò un agente, il collega sparò per difenderlo
Il poliziotto che uccise Jefferson Tomalà, ecuadoriano di 22 anni, durante un intervento di Tso nella sua abitazione di Genova nel giugno 2018 deve essere processato. Lo ha deciso il gip Franca Borzone che ha respinto la richiesta di archiviazione della procura disponendo l'imputazione coatta. L'agente aveva sparato sei colpi contro il giovane per difendere il collega. Per il giudice, però, anche se vi era un pericolo il poliziotto non avrebbe dovuto sparare così tanti colpi.
Il giorno in cui Tomalà venne ucciso, le volanti erano intervenute nell'appartamento di via Borzoli dopo che la madre del ragazzo aveva chiamato il 112 chiedendo un medico perché il figlio aveva un coltello e minacciava di farsi del male. Gli agenti avevano provato a convincerlo a posare l'arma, per farlo poi sedare dal medico.
Non riuscendoci avevano spruzzato uno spray al peperoncino ma Tomalà invece di lasciare il coltello aveva colpito i due agenti, ferendone uno in modo grave. Il poliziotto aveva a quel punto sparato per difendere il collega. Alcuni giorni dopo il ministro dell'Interno Matteo Salvini era andato in ospedale a trovare il poliziotto ferito.
E' vero che l'agente che uccise Tomalà "stava temendo per la vita del collega", ma è anche vero che la sua azione "denota notevole imprudenza e imperizia". Lo scrive il giudice per le indagini preliminari Franca Borzone nel dispositivo con cui respinge l'archiviazione per il poliziotto. "Una pur minima professionalità - prosegue il giudice - avrebbe dovuto imporre l'esplosione di un solo colpo e non in direzione di parti vitali".
Secondo la procura, l'agente agì per salvaguardare il collega e per questo aveva chiesto di archiviare l'indagine. Si erano opposti i familiari del giovane (assistiti dagli avvocati Andrea e Maurizio Tonnarelli) che avevano sostenuto che però tutto l'intervento era stato fatto male. Secondo il gip, invece, la pattuglia agì correttamente, ma per l'agente ci fu un eccesso nell'uso legittimo dell'arma.
"Tutti i colpi - continua il magistrato - furono diretti in zone vitali e furono esplosi a distanza talmente ravvicinata da consentire, con l'impiego di dovuta diligenza e perizia, una mira pressoché esatta. Il comportamento denota il prevalere di una componente emotiva, quindi nell'imprudenza e imperizia dell'atto, connotazioni che mal si conciliano con l'uso professionale dell'arma, a causa di una marcata incongruità della reazione". In pratica, "l'azione del poliziotto si connota di un errore inescusabile nella valutazione della situazione e della carenza di regole a contenuto precauzionale relative all'uso dell'arma di ordinanza".
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