Albisetti a Telenord: “Trump rallenta sui dazi, ma il lupo non si è trasformato in nonnina”
di Matteo Cantile
Il banchiere ed esperto di finanza spiega i motivi della moratoria USA e le conseguenze sui mercati e sull’economia globale
“La sospensione dei dazi voluta da Trump non è una resa, ma una pausa tattica”: così Roberto Albisetti, banchiere ed esperto di scenari finanziari internazionali, ha commentato ai microfoni di TGN Today la recente moratoria di 90 giorni decisa dagli Stati Uniti. Una scelta dettata dalle forti turbolenze sui mercati e dalla vendita improvvisa di titoli di Stato americani, che ha colto di sorpresa anche l’amministrazione USA.
Frenata improvvisa – Il banchiere e manager ha parlato di “pausa di riflessione” voluta dallo stesso Trump ma ispirata in particolare dal Ministro del Tesoro statunitense Scott Bessent. “Fermo un attimo la velocità, rallento”, ha detto l’ex presidente, consapevole delle conseguenze inattese scatenate dal primo annuncio: tra queste, una significativa vendita di titoli del debito americano.
Debito pubblico – La sorpresa maggiore per gli economisti statunitensi è stata l’abbandono dei treasury bond da parte degli investitori internazionali. “Normalmente quando si fugge dall’azionario ci si rifugia nel debito americano. Invece questa volta è accaduto l’opposto”, ha spiegato Albisetti. Un segnale preoccupante che riflette la perdita di fiducia nella stabilità del sistema USA. Secondo i dati riportati, quasi il 40% del debito americano è detenuto da stranieri, in primis la Cina, che avrebbe venduto i buoni del tesoro per danneggiare Washington.
Strategia industriale – La pausa sui dazi impone, secondo Albisetti, una revisione della “big picture”, ossia della visione d’insieme del commercio e della manifattura globali. “Dobbiamo considerare nuove catene di approvvigionamento. Anche l’intelligenza artificiale potrà aiutarci a cercare nuovi fornitori”, ha spiegato. Il vero obiettivo degli USA, ha aggiunto, resta comunque la Cina.
Competizione geopolitica – Dietro la linea dura di Trump c’è una questione sia economica sia strategica. “Dalla Cina arrivano materie prime e produzione di massa a basso costo, ma anche una crescente competizione”, ha osservato Albisetti. L’esempio più eclatante è quello di iPhone City, la città sorta in Cina per la produzione di smartphone Apple. “Ritrasferire tutto negli USA richiederebbe anni e investimenti ingenti ma reindustrializzare, soprattutto in determinati settori, è un obiettivo dichiarato di Donald Trump”.
Declino e rilancio – “Vent’anni fa gli USA erano il 21% dell’economia globale. Oggi sono al 15%, mentre la Cina ha raggiunto il 19%”, ha ricordato Albisetti citando dati del Fondo Monetario. Da qui il tentativo americano di riportare negli Stati Uniti una parte della manifattura strategica, ma con obiettivi realistici: “Non vogliono solo ricreare le acciaierie di Pittsburgh, che sono ferme da decenni, ma puntano su tecnologie avanzate, farmaceutica, aerospazio e trasmissioni”.
Ritorno a Wall Street – La marcia indietro ha fatto felici i mercati. “Trump ha fatto un bel favore a Wall Street e agli hedge fund, che hanno recuperato gran parte delle perdite con arbitraggi sul rimbalzo della borsa”, ha commentato Albisetti.
Stop and go - "Il lupo - ha chiosato Albisetti riferendosi al presidente americano - non si è trasformato nella cara nonnina: il terremoto sui titoli di stato ha solo rallentato i progetti di Trump ma l'uso dei dazi per favorire il sistema economico Usa continuerà".
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