Delitto di Quinto, dopo le accuse della mamma a Telenord a breve primi indagati:"Vogliamo giustizia"
di Redazione
"Speriamo che si vada davvero fino in fondo perché mio figlio è colpevole ma poteva e doveva essere fermato prima"
La procura di Genova ha sentito dieci persone, tra poliziotti e personale dell'Igiene mentale, nell'ambito dell'inchiesta per omissione d'atti d'ufficio e omissione di denuncia dopo gli allarmi dei familiari di Alice Scagni, la donna di 34 anni uccisa sotto casa il primo maggio dal fratello Alberto. A breve potrebbero essere iscritti nel registro degli indagati i primi nomi. "Speriamo che davvero si muova qualcosa e che non si tratti di qualcosa di dovuto e formale, io credo nella giustizia" il commento di Antonella Zarri.
Scagni aveva ucciso la sorella, madre di un bimbo di un anno e 4 mesi, perché voleva più soldi dalla famiglia. La mamma di Alice e Alberto, subito dopo l'omicidio aveva puntato il dito contro le forze dell'ordine e i medici che non avevano ascoltato le sue richieste di aiuto.
Aveva parlato il giorno la tragedia ai microfoni di Telenord. "Cosa vuole che le dica, ho perso due figli in un colpo solo per l'incapacità delle forze dell'ordine del servizio di salute mentale. Ho chiamato il 112 anche domenica perchè mio figlio ci aveva fatto due telefonate di minacce ma mi è stato detto che era il primo maggio, che non c'erano pattuglie e di richiamare il giorno dopo".
Antonella Zarri ha poi scritto una lettera alla Procura e ha parlato davanti alle telecamere di Telenord. "Quella maledetta sera mi sono attaccata al 112 urlando, non mi hanno dato alcuna informazione sullo stato di saluta di mia figlia, sono stata al telefono per 40 minuti senza ottenere nessuna risposta e nessuna informazione. Lo stesso muro di gomma che abbiamo incontrato da quando abbiamo deciso di fermare Alberto. Poi sono andata di persona a Quinto e ho visto tantissimi uomini in divisa e sono impazzita dalla rabbia perchè invece alle 13.30 nessuno era invece venuto a chiederci cosa stesse succedendo, nessuno ha ascoltato le nostre paure dopo che Alberto era andato in escandescenza in maniera seria. Avevamo chiesto di andare in presidiare via Fabrizi e invece non ci sono andati".
E poi ancora: "Ancora oggi ripenso allo scherno a cui siamo stati sottoposti. Non puoi dire ad una madre che ti sta raccontando che ha paura di suo figlio: "Signò non famola tragica", non puoi. La nostra forza oggi è il nostro nipotino Alessandro, per lui andiamo avanti perchè un giorno gli dovremmo spiegare che lo Stato non ha aiutato sua madre".
Gli investigatori della mobile, coordinati dal procuratore Francesco Pinto e dall'aggiunto Vittorio Ranieri Miniati, avevano aperto il fascicolo per capire se vi fosse stata una mancata denuncia da parte della polizia e un ritardo nella presa in carico dell'uomo.
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