Filosofia e vino per il dandy consapevole
di Giulia Cassini
La selezione di vini, letteratura e storia tra antico e moderno di Giovanni Giaccone
“Dandismo alcolico, meditazioni sul bere consapevole” di Giovanni Giaccone per Il Melangolo è un corteggiamento al buon vino e al saper bere, ma per fare la corte ci vogliono estro, raffinatezze, costanza, buon gusto e pazienza. Capita nel calcio nazionalpopolare per le stelle del pallone, succede nel jet set (basti pensare a Re Hussein di Giordania che invitò la futura moglie a 70 cene con altrettanti regali prima di chiederla in sposa alla settantunesima) e in pochi altri casi. Forse perché sono tutte doti rare da trovare, che insieme alla scientificità e alla goliardia letteraria si mescolano in questo libro di filosofia pop.
“Come il resto della collana il taglio è questo – ammette Giovanni Giaccone- l’aspetto più interessante è dato dal fatto che, mentre la filosofia pop cerca elementi classici e archetipici nel mondo pop (come le serie tv, i film, il cibo…) io con la stessa tecnica ho cercato di disinnescare l’abnorme massa di significati, simbolismi e storie che caratterizzano il mondo del vino”.
Sicuramente per scriverlo bisogna essere esperti, bon vivant e, in estremo dandy. “In realtà il legame del titolo tra dandismo e vino -spiega Giaccone- è il tempo. I dandy si ribellavano alla parcellizzazione del tempo imposto dalla tecnologia (prima rivoluzione industriale, taylorismo…) così come il vino impone che i suoi tempi vengano rispettati. In questo senso, avvicinarsi correttamente al vino impone una forma di dandismo”.
Tante le chicche nel testo, alcune esilaranti altre preziosissime come quelle accortezze che i vignaioli e gli enologi si tramandano di generazione in generazione, a cerchio chiuso. Del resto, come scriveva Salvador Dalì, “I veri intenditori non bevono vino; degustano segreti”. Quanta letteratura è stata scritta sui calici? Tantissima dagli antichi greci e romani, sino ai riferimenti nel “Giorno” di Giuseppe Parini o nei “Cento Sonetti e Cento Brindisi” di Giovanni Battista Monti sconfinando anche nell’opera lirica da “Così Fan Tutte” al “Don Giovanni” alla “Traviata” o a “Cavalleria rusticana” con “Viva il vino spumeggiante nel bicchiere scintillante”. Tanti gli estimatori dello champagne nella storia (c’è anche chi lo usava per lavande o spasmodicamente in modo torrenziale), fascino a cui Giaccone non si sottrae. Molto prima dello scrittore genovese si sono succeduti il filosofo Voltaire, il commediografo Collé, l’agronomo Parmentier, le teste coronate come Maria Antonietta, Federico I di Prussia e pure Washington, Churchill e così via.
Nel saggio di Giaccone non troverete questi elenchi, nemmeno rigidi disciplinari sul vino, ma un'indagine trasversale con riferimenti letterari che travalicano il gusto per la citazione e se arrivano sono ben motivati. C’è spazio per un elogio a Genova, al vecchio grand tour, alla Liguria quale buen retiro di Byron, Shelley, Waugh, Stendhal, Dickens e ai suoi sentori di limone, di salvia e di pinoli. Si ravvisa l’esaltazione del terroir e della fatica del lavoro rispettoso della materia, dipanandosi alla guisa di una moderna, ma seppur proustiana, “Ricerca del tempo (e del vino) perduto”. Ruché, Barbacarlo, Asprinio, Schiacchetrà ( da non confondersi con lo Sciac-trà , vino rosato del Ponente ligure), Rossese vengono degustati tra una riga e l’altra come si conviene agli intenditori o anche al girone dei golosi o delle “Golose” di Guido Gozzano, poesia che tra le citazioni restituisce quel vivo senso di attaccamento e di attrazione ai sapori genuini, al lavoro delle esperti mani che creano e lavorano, lavorano e creano dando valore agli antichi mestieri e alla gioia “civettuola” della scelta tra prelibatezze.
Non mancano i tuffi nella storia che sconfinano in leggenda come nel capitolo “Gattinara, il vino del console”, le soluzioni ragionate ai grandi perché del mondo del vino come il successo del Pinot nero, l’incomprensione tutta italiana per il rosato, o gli auspici alla stregua di “Meno Spritz, più Lambrusco” oppure “Uccidiamo il Prosecchino”, per lo meno quello che non si abbina al sorriso e alla frivolezza. Tra tanti spunti, le ricette non scontate e lo smascheramento di falsi miti come l’abbinata della pizza con la birra, qui sostituito con l’Asprinio d’Aversa, almeno per non assommare il lievito della pizza con quello della birra se non per la secchezza totale del vino e per il profumo lieve di limone. Avvertimenti e viaggi in definitiva che donano al lettore “Una vera e propria esperienza sensitiva del Mediterraneo (e non solo, ndr), lineare e pulita, come una poesia di Montale”.
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