Torre Piloti, il racconto dei sopravvissuti: "Quel giorno siamo morti anche noi"
di Michele Varì
E sulla stele c'è la spirale dell'infinito, segno segreto dell'amore spezzato tra Gianni e Stefania
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C'era anche uno dei quattro superstiti del crollo alla commemorazione del sesto anno della tragedia della Torre Piloti del porto di Genova. Giorgio Meo, 40 anni, imperiese, sott’ufficiale della Capitaneria di Porto, subito dopo la scoperta della stele con i nomi dei colleghi morti, si è appartato in un angolo del porto Antico, come a defilarsi dalle luci e dai giornalisti.
"Quella notte è morta una parte di me, quindi la tengo chiuso in un cassetto e cerco di non aprirla, però in queste circostanze si riapre e il dolore è immenso". Meo, rimasto gravemente ferito, non aveva potuto presenziare ai funerali dei colleghi ma ad ogni commemorazione della tragedia si presenta puntuale a molo Giano, "anche se io i mie colleghi li penso ogni giorno. Se la tragedia si poteva evitare? Oh, ci mancherebbe, certo che se si poteva evitare, le risposte sono tante, bastava poco, purtroppo il destino ha voluto che andasse così ed è andata così. Però si poteva benissimo evitare".
Cosa si doveva fare per evitarla? Meo risponde senza rispondere: "Non posso svelarlo, lo tengo per me". Poi però alla domanda se lavorando sulla torre ci si rendesse conto del rischio che si correva risponde facendo intuire a chi sono indirizzate le sue accuse. "Sinceramente non avevamo mai visto quel pericolo, perché credevamo nella professionalità delle persone".
Forse sarebbero bastati pochi massi davanti alla torre per proteggerla dalle navi, chiediamo: "Non lo so - risponde Meo - si potevano fare tante cose...". Meo si zittisce e cambia espressione se gli si chiede di ricordare il momento del crollo: "Non me lo faccia ricordare, questo non me lo faccia ricordare" chiude con una smorfia di dolore e commozione.
Meo, che come gli altri superstiti è stato definito non idoneo al militare e ora lavora nel porto di Imperia, la sua città, in passato ha ammesso che da dopo la tragedia ha un incubo ricorrente: "Sogno di andare a lavorare dentro la torre. Cammino nel buio, fianco a fianco ai miei colleghi morti. Ci osserviamo senza aprire bocca. È un cammino ineluttabile: io so che l’edificio crollerà, eppure vado avanti lo stesso. Questo pensiero fisso mi immobilizza, mi fa sprofondare ogni volta nell’ansia e nella paura. Chi sopravvive a un evento simile non torna più indietro. I miei sensi sono cambiati. La minima scossa mi provoca attacchi di panico".
Alla scoperta della stele a nome dei familiari ha parlato Antonio Morella, padre di Davide, di Biella, "Per noi resta la memoria, perché nessuno può tornare indietro, è indispensabile che questa memoria si rafforzi sempre di più, non solo dalla città di Genova, ma tutto il Paese, come è successo per i martiri di Nassiriya, 19 caduti l'11 novembre del 2003, i martiri di Nassiriya dovrebbero essere equiparati ai caduti di Genova, erano tutti militari e anche chi lavorava nella torre lavorava per la sicurezza, garantiva la sicurezza della navigazione e hanno fatto tanto, salvando tante persone".
L'importanza della stele, una promessa mantenuta ai familiari dal sindaco Bucci e il governatore Toti, è stata sottolineata anche dai parenti della vittime della tragedia della stazione di Viareggio dove un treno deragliato il 29 giugno 2009 provocò la morte di 32 persone: "Siamo qui per testimoniare la nostra vicinanza alle famiglie delle vittime, per noi sono passati dieci anni e non abbiamo ancora un cippo che ricordi i nostri cari. Ma ora, sull'esempio di Genova, torneremo alla carica e se non ci penseranno le istituzioni lo faremo a nostre spese" hanno detto.
Toccante è stato il racconto di Stefania, la fidanzata di una delle vittime, il militare spezzino Gianni Jacoviello, 35 anni. La donna ieri quando ha visto la stele ha avuto un tuffo al cuore: "Prima dei nove nomi c'è il disegno della spirale simbolo dell'infinito, è incredibile, è lo stesso disegno che io e Giovanni ci eravamo tatuati nelle ultime vacanze in Sardegna in segno del nostro grande amore, lui sul polpaccio, io qui sulla nuca" dice scoprendo i capelli per mostrare il tatuaggio.
Una coincidenza che ha fatto pensare che l'architetto genovese che ha pensato la stele in pietra arenaria sapesse di questo piccolo segreto così intimo: "Ma non è così - spiega Stefania - il sindaco di Genova Bucci, a cui abbiamo chiesto spiegazioni, davanti a noi ha chiamato al telefono l'architetto Patrone che ha smentito che fosse a conoscenza dei nostri tatuaggi e che si è trattata solo di una coincidenza, io sono commossa. E' incredibile, quello era il simbolo del nostro amore e adesso è lì al centro della stele che ricorda gli angeli della Torre".
Michele Varì
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