"Vi racconto il coronavirus: un incubo tra paura, incertezza e abbandono"
di Alessandro Bacci
La storia di Bacci, negativo dopo 50 giorni: "Un nemico che ti logora, un grazie al San Martino"
Un’odissea, un incubo, un calvario. Sono tanti i termini che potrebbero essere utilizzati per descrivere la mia battaglia contro il coronavirus. La storia è iniziata lo scorso 28 marzo, quando mio padre ha accusato i primi sintomi: febbre e tosse. Nella mia mente già sapevo che il virus era entrato in casa, in modo silenzioso e inaspettato. Il giorno successivo è stato il turno di mia madre e infine, il 30 marzo, il Covid-19 ha inviato anche a me il primo segnale. Una forte pressione al petto, a tratti esasperante, che da quel giorno non mi ha più abbandonato. In poco tempo ho accusato febbre con picchi oltre i 39 gradi, tosse, nausea, problemi respiratori. Effettuo decine di telefonate per ottenere un tampone, qui inizia il primo ostacolo. Per ottenere un test nessuno sembra poter fare niente. La Asl invita ad attendere per carenza di reagenti, il 1500 può fornire solo consigli generici, i numeri verdi rimandano al medico di famiglia. Nel frattempo mio padre è costretto al ricovero in ospedale in condizioni gravi. Dopo una settimana, il 6 aprile, anche le mie condizioni peggiorano e allo stremo delle forze decido di chiamare il 112. La risposta è immediata ma con un messaggio esplicito: “Se lei viene in ospedale in ogni caso si prenderà il virus”. Parole che mi intimoriscono ma non posso più tergiversare.
Il trasporto all’ospedale San Martino è efficiente. Si entra nel tendone del triage tra incertezza e paura. Gli infermieri si confermano comprensivi, professionali e pazienti e nel giro di una mattinata effettuo il tampone, le analisi e i prelievi necessari. Viene riscontrata una polmonite. Dopo poche ore la buona notizia: posso tornare a casa. I medici mi prescrivono una cura con Plaquenil (antimalarico) e Zitromax (antibiotico) per 7/10 giorni. In quel momento stavo ancora molto male, ma la cura e gli esami con buoni risultati mi avevano incoraggiato. Il giorno seguente arriva la conferma ufficiale: sono positivo al Covid.
Da quel momento la mia lotta contro il virus avviene nel totale abbandono. Nessuno si accerta delle mie condizioni di salute, mia madre non riesce a ottenere un tampone nonostante il contatto diretto con due pazienti positivi. I medicinali, nonostante numerosi effetti collaterali, non sembrano migliorare la situazione. Vivo dieci giorni nella totale incertezza e al termine della cura le mie condizioni migliorano di poco, la febbre e la tosse mi abbandonano. Stanchezza, nausea, dolori lancinanti, ansia e paura accompagnano le mie giornate, con l’impossibilità di uscire, isolato dal resto del mondo. Nel frattempo il dolore al petto non passa e diventa sempre più intenso a ogni respiro. Provo a telefonare all’ospedale, al medico di famiglia, alla ASL, ai numeri regionali ma non arriva nessuna risposta concreta. Il consiglio universale è quello di pazientare, ma contro un nemico così forte e sconosciuto non è facile. La sensazione di abbandono e la mancanza di un minimo supporto anche telefonico a tratti sembrano peggiori della malattia. Mio padre viene salvato dai medici dell’ospedale San Martino che compiono un vero e proprio miracolo.
Passano i giorni, i sintomi lentamente si placano e il 25 aprile ottengo i due tamponi per sancire la negatività. Nonostante estreme difficoltà riesco a ottenere i test alla Fiera del Mare, il servizio è efficiente e rapido. Dopo pochi giorni arrivano i risultati: ancora positivo a entrambi i tamponi, una mazzata a livello mentale. Dopo un mese il virus non mi aveva ancora abbandonato lasciando un segno tangibile sul mio corpo. Nonostante i miei 28 anni il Covid non mi ha risparmiato. Dolori costanti, fiatone e una stanchezza mai provata prima sembravano diventati la normalità. Passano altre due settimane e ottengo i nuovi tamponi di verifica. Questa volta è quella buona, il 20 maggio a distanza di 50 giorni dai primi sintomi sono finalmente negativo.
Il Covid è imprevedibile, a volte sembra quasi che si “diverta” nel corpo, con nuovi sintomi e dolori che compaiono e scompaiono a intermittenza. Un nemico che ti logora sia fisicamente che psicologicamente. Una battaglia lunga dove serve una notevole forza per reagire. Dopo cinquanta giorni di lotta posso confermare: il coronavirus non può essere neanche lontanamente paragonato a un’influenza. Prestate attenzione, giovani o anziani, evitate questo incubo.
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