L'acciaio torna allo Stato, firmato l'accordo tra ArcelorMittal e Invitalia
di Redazione
La società del Mef entra al 50% nella gestione degli impianti, i primi 400 milioni di euro dovranno arrivare entro il prossimo febbraio.
Il futuro ha un cuore antico per la ex Ilva di Taranto. Lo Stato imprenditore torna tornare nella gestione del siderurgico più grande d'Europa e di tutti gli impianti siderurgici che il gruppo possiede in Italia. La firma dell'intesa è arrivata a tarda sera e prevede un deciso investimento pubblico che consentirà di garantire alla fine la piena occupazione dell'impianto e di ridurre l'inquinamento per la produzione di acciaio. La mano pubblica entra nella società italiana Am Investco con un doppio aumento di capitale: un primo aumento da 400 milioni di euro darà a Invitalia, che è controllata dal ministero dell'Economia, il 50% dei diritti di voto della società.
Le condizioni sospensive al closing (dell'ingresso di Invitalia in AM InvestCo, controllata ArcelorMittal) comprendono "la modifica del piano ambientale esistente per tenere conto delle modifiche del nuovo piano industriale; la revoca di tutti i sequestri penali riguardanti lo stabilimento di Taranto; e l'assenza di misure restrittive, nell'ambito dei procedimento penali in cui Ilva è imputata, nei confronti di AM InvestCo. Lo precisa in una nota ArcelorMittal. A maggio del 2022 è programmato, poi, un secondo aumento di capitale, che sarà sottoscritto fino a 680 milioni da parte di Invitalia e fino a 70 milioni di parte di Arcelor Mittal. Il ministro del tesoro, Roberto Gualtieri e dello Sviluppo, Stefano Patuanelli hanno espresso soddisfazione per l'intesa che avrà un doppio impatto. Si prevede alla fine del processo il completo assorbimento di 10.700 lavoratori.
E partirà da subito un piano di decarbonizzazione attraverso l'avvio della produzione di acciaio con processi meno inquinanti. È prevista la creazione di una nuova linea di produzione esterna al perimetro aziendale (DRI) e di un forno elettrico interno allo stabilimento che a regime potrà realizzare 2,6 milioni di tonnellate annue di prodotto. "Circa un terzo della produzione di acciaio - sostengono Mef e Mise - avverrà con emissioni ridotte, grazie all'utilizzo del forno elettrico e di una tecnologia d'avanguardia, il cosiddetto "preridotto", in coerenza con le linee guida del Next Generation EU. La riduzione dell'inquinamento realizzabile con questa tecnologia è infatti del 93% a regime per l'ossido di zolfo, del 90% per la diossina, del 78% per le polveri sottili e per la CO2". Sarà ora necessario vedere se l'intesa raggiunta soddisfa il territorio, con il sindacato di Taranto e di molti comuni limitrofi che avevano ipotizzato altri interventi. Il governo ha annunciato che darà vita a un tavolo con gli enti locali per accompagnare e monitorare la transizione.
E se la piena occupazione promessa alla fine del processo riuscirà a dissipare le preoccupazioni delle 'tute blu', anche se nel prossimo quinquennio gli esuberi temporanei sarebbero coperti - ma i comunicati diffuso in serata non ne fanno menzione - dagli ammortizzatori sociali dei quali lo Stato si fa garante. L'annuncio ufficiale dell'accordo è destinato ad alzare il velo anche su altri aspetti della vicenda, a cominciare dalla governance che dovrebbe essere inizialmente paritaria con presidente e amministratore delegato espressi l'uno da Invitalia e l'altro dalla Mittal. Anche su questo punto non ci sono comunicazioni ufficiali. Per l'impianto di Taranto si profila comunque in ritorno al passato. Nata nel 1905 l'Ilva passò all'Iri nel 1929 e venne ceduta ai Riva solo nel 1995, con il piano di privatizzazioni. Il commissariamento è datato 2012. ArcelorMittal arriva nel 2018 e ora arriva una nuova svolta.
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